Sport femminile in Italia: crescita e divario di genere

Andare oltre gli slogan di facciata, garantire salari allo stesso livello di quelli maschili, costruire strutture manageriali all’altezza: questo e molto altro è necessario per far crescere il mondo sportivo femminile italiano.

Ridurre il gap: alcune proposte

Partiamo dalle basi. Quali sono i punti più importanti sui quali concentrarsi per produrre un cambiamento radicale nello sport femminile italiano, in termini di uguaglianza e riduzione del divario rispetto allo sport maschile? Bisogna concentrarsi innanzitutto su un concetto chiave, che è quello dell’importanza pedagogica dello sport. Nelle palestre, sui campetti da calcio, da basket, da rugby, crescono le italiane di domani e per questo bisogna destinare risorse importanti a una crescita del mondo sportivo femminile in Italia adeguata.

In questo senso, non si può non partire dal Diritto allo sport. Entrato all’articolo 33 della nostra Costituzione nel settembre del 2023, il Diritto allo Sport prevede un vero e proprio impegno da parte delle istituzioni nazionali per garantire a tutti la possibilità di accedere a strutture, eventi, attività sportiva in ogni parte del paese, a prescindere da genere, età e condizioni.

Squadra di pallavolo femminile

Il gap di genere nello sport femminile e maschile

Quello del diritto allo sport può sembrare, a prima vista, uno slogan senza costrutto, ma è invece un punto cruciale per costruire uguaglianza fra sport maschile e sport femminile, diminuendo il divario di genere: lo sport deve essere libero, giusto e accessibile a tutti.

Immediatamente collegato sia alla questione del diritto allo sport che alla crescita del movimento sportivo femminile italiano c’è il tema delle infrastrutture. Oggi esiste in Italia un divario enorme sul fronte infrastrutturale fra regioni settentrionali e meridionali, una distanza che si riflette anche nei numeri della partecipazione sportiva femminile, pesantemente più bassi al Sud. Su questo c’è da rimboccarsi le maniche in maniera concreta e lavorare a fondo per costruire un parco infrastrutturale che contribuisca in modo forte alla crescita dello sport femminile.

C’è poi l’elemento economico, con l’urgenza di destinare allo sport una quantità di fondi molto più sostanziale. Nello specifico, la politica dello sport deve destinare maggiori risorse allo sport sul territorio, individuando le aree del paese nelle quali il gap di genere nella partecipazione sportiva ha maggiore rilevanza. In quelle zone bisogna intervenire in maniera aggressiva, costruendo strutture, portando proposte, mettendo insieme una serie di iniziative che prevedano crescita e sostegno.

L’intervento nelle provincie, nei piccoli centri, è decisivo perché è lì che lo sport si fa cultura ed educazione. È nelle realtà più distanti e difficili che la pratica sportiva fa la differenza e che si può lavorare sulle basi del divario, riducendolo. Ad alti livelli, almeno in termini di partecipazione, abbiamo quasi raggiunto la totale parità tra atleti uomini e atlete donne.

Nel mondo dello sport non agonistico la realtà è invece completamente diversa: le donne fanno molto meno sport e anche quando lo fanno, smettono ben prima degli uomini. Su questo punto è strategico trovare soluzioni di genere, ridurre il gap.

Cosa si sta già facendo

Il progetto 100 esperte per lo sport, lanciato dall’Osservatorio di Pavia e dall’associazione Gi.U.Li.A., insieme a Fondazione Bracco e con il supporto della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, è un esempio molto concreto di quello che si può fare oggi per diminuire il divario di genere nello sport, contribuendo a farlo crescere. Si tratta di una banca dati che permette, ai soggetti istituzionali sportivi che ne hanno bisogno, di poter contare su quattrocentocinquanta profili di donne con professionalità fondamentali per il mondo dello sport: scienza, storia, politica, comunicazione.

Uno degli elementi da tenere in grande considerazione quando si parla di sport femminile, infatti, è l’esposizione mediatica, ancora molto bassa, che ha sui mezzi di comunicazione italiani. Il Global Media Monitoring Project rileva che solo il 3% di tutta l’informazione sportiva italiana è dedicata allo sport femminile. Sui telegiornali italiani soltanto l’1,7% dei servizi riguarda lo sport femminile, contro il 44% del calcio. E allora viene normale pensare che forse una certa dittatura maschile dello sport dipenda anche dall’enorme spazio che gli si concede in termini mediatici, un elemento che spinge gli appassionati ad interessarsene quasi a prescindere.

E poi c’è la questione di dirigenti. Le donne che allenano nel calcio sono circa il 20% del totale, e devono necessariamente diventare di più. Sempre restando al calcio, sono meno del 13% a livello dirigenziale: anche qui, le professionalità ci sono, basta andarle a cercare e lavorare per ridurre il divario di genere.

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