La lunga storia fra il razzismo e il calcio italiano

Si va dai casi di Balotelli e Boateng, sino al Acerbi-Juan Jesus, passando quanto successo a Maignan a Udine. Il calcio in Italia ha un problema con il razzismo, e negarlo non aiuta a risolverlo. Qui alcuni dei casi più eclatanti di razzismo in Serie A.

Razzismo nel calcio, una vergognosa abitudine

Fra direttori sportivi che minimizzano, allenatori che difendono le tifoserie, giocatori in campo che negano, una federazione che abbraccia e una Lega che ormai serve solo a gestire la parte economica, la serie A è diventata, insieme alla Liga spagnola, il campionato più razzista d’Europa, e forse del mondo.

I casi di attacchi razzisti che ogni anno si registrano nel massimo torneo calcistico italiano sono infatti così tanti che anche solo provare a tenerne il conto è difficile. Di certo, ci sono dei dati, inconfutabili, che pongono il nostro paese al vertice delle offese di stampo razzista in ambito sportivo, e sono quelli pubblicato dall’Oscad, l’Osservatorio Sicurezza Controllo Atti Discriminatori della direzione centrale della Polizia criminale.

Razzismo nel calcio

I casi di razzismo nel calcio

Secondo questi dati, gli episodi di razzismo durante partite di serie A sono cresciuti, fra le stagioni 2022 e 2023 (il 2024, ancora in corso, non è calcolato), del 30%, con un elemento fondamentale: di tutti i casi di razzismo denunciati, a livello complessivo, nello sport in Italia, il 90% riguardano il calcio. Come a dire, insomma, che non è un problema culturale in senso complessivo, quando di struttura, delle persone e delle istituzioni che in questo sport, il calcio, ci vivono.

D’altronde, non è certo sorprendente scoprire questi dati, se si pensa che ancora nel 2014 addirittura il presidente della Federazione Italiana Gioco Calcio, Carlo Tavecchio, si esprimeva, da candidato in pectore alla presidenza, con parole come “L’Inghilterra individua i soggetti che entrano, se hanno professionalità per farli giocare. Noi, invece, diciamo che Opti Pobà è venuto qua, che prima mangiava le banane, adesso gioca titolare nella Lazio.” Ovviamente dopo una dichiarazione di questo genere venne immediatamente eletto.

Oppure, ancora, pensiamo ai cori razzisti contro Mario Balotelli che avvennero il 3 novembre del 2019, durante Verona – Brescia, e soprattutto alle reazioni. In quel caso l’attaccante del Brescia, preso di mira con insulti e ululati per tutta la partita, perse il controllo, fermò la partita e scagliò il pallone in direzione delle curva avversaria.

Dopo una sospensione di 4 minuti il match ricominciò, eppure a sfida terminata, durante le interviste, non ci furono condanne univoche della tifoserie veronese, che peraltro non era certo nuova a episodi di questo genere. Per Juric, allora tecnico scaligero, si trattava di “sfottò”, e non di razzismo. Setti, presidente del Verona, disse che lui non aveva sentito nulla. Ancora di meglio fece Luca Castellini, dirigente di Forza Nuova e capo ultrà dell’Hellas, che parlò di “folklore”.

Risultato? Il giudice sportivo chiuse per una giornata solo il settore da cui erano arrivati i cori razzisti, ma alla fine non si arrivò nemmeno a quella: la sanzione venne infatti revocata dalla corte d’Appello della FIGC. Un altro caso storico di corto circuito razzista fu quello legato agli ululati dei tifosi del Cagliari a Lukaku, durante Cagliari – Inter del settembre del 2019. In quel caso furono addirittura gli ultrà interisti a difendere i colleghi sardi, spiegando all’attaccante belga, in un comunicato, che gli insulti per il colore della sua pelle non erano razzismo, ma solo la maniera italiana di supportare la propria squadra.

I casi più recenti di razzismo nello sport

Sempre Lukaku, nella passata stagione, era stato protagonista di un altro caso imbarazzante. Beccato per tutta la partita dai tifosi juventini, durante Juventus – Inter, era andato ad esultare, dopo aver segnato il gol del pareggio, sotto la curva bianconera, venendo ammonito ed espulso. Dall’altra parte, invece, non era scattata alcuna sanzione per la Juventus, in quanto, secondo il giudice sportivo, c’era sì stata discriminazione razziale, ma “di tenue entità e per un tempo non significativo”: una sentenza che si commenta da sola.

Di questa stagione sono i cori razzisti al portiere del Milan, Mike Maignan, arrivati durante Udinese – Milan. Il portiere francese esce dal campo, la partita viene sospesa per alcuni minuti ma poi si riprende a giocare. Cioffi, tecnico dei friulani, dopo la partita si rifiuterà di commentare l’accaduto. Balzaretti, direttore sportivo dell’Udinese, condannerà i cori ma si sperticherà nelle lodi del tifo organizzato della sua squadra. Insomma, la solita storia.

E poi c’è il caso più eclatante, quello dell’insulto dell’interista Acerbi a Juan Jesus, prima ammesso, poi negato, infine, nelle più perfetta delle soluzioni all’italiana, più o meno confermato ma…”senza accezione razzista”, perché insomma per Acerbi “negro” è una parola come un’altra. E infatti alla fine il cattivo era Juan Jesus e il presidente federale Gravina si è addirittura proposto per abbracciarlo, Acerbi, quando lo vedrà. Eccolo, è tutto qui lo stato delle cose, quando si parla di razzismo nel calcio in Italia.

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