Le finali Slam più lunghe di sempre

Ci sono partite che diventano racconti epici di resistenza, concentrazione e cuore. Dalla notte infinita di Djokovic e Nadal a Melbourne, fino alla recente battaglia tra Alcaraz e Sinner a Parigi: scopriamole insieme.

Finali Slam più lunghe: gli anni Ottanta

11 settembre 1988. Sul cemento dello USTA National Tennis Center di New York si gioca una delle finali Slam più lunghe della storia. Una battaglia epica che vede di fronte Mats Wilander e Ivan Lendl. Lo svedese è numero 2 della classifica ATP, a una manciata di punti dal cecoslovacco, che è in testa al ranking, ininterrottamente, da ben tre anni.

La partita è intensissima. Non ci si gioca solo il titolo degli US Open, ma anche un cambio di rotta al vertice del ranking. La sfida si trasforma molto presto in un durissimo un braccio di ferro psicologico. Wilander, chirurgico da fondo, costringe Lendl a giocare sempre un colpo in più, anche sugli scambi che sembrano ormai persi.

Alcaraz e Sinner

Alcaraz-Sinner per una delle finali Slam più lunghe di sempre

Lendl, dal canto suo, spinge al massimo con il servizio, provando sembra ad accorciare lo scambio. La partita è un saliscendi di emozioni. Wilander vince il primo set 6-4, portando a casa un break grazie a colpi da fondo campo solidissimi e precisi. Lendl reagisce nel secondo, sfruttando alcuni errori gratuito dell’avversario: è 4-6.

Nel terzo Wilander riprende il controllo, ributta con regolarità la palla nel metà campo di Lendl che a volte paga la voglia di chiudere il punto e perde il set 6-3. Al quarto il cecoslovacco vince una prove di nervi. Spinge come un pazzo sulle prime di servizio e obbliga Wilander a spostarsi dalla linea di fondo: 5-7, si va al quinto.

Wilander sembra più dentro la partita, continua a guidare lo scambio, vince bene i suoi turni battuta e poi trova il break decisivo: è 6-4. È la rivincita dello svedese che in finale, sempre con Lendl, aveva perso l’anno prima. Un Lendl che, ricordiamolo, dal 1982 al 1988, per otto volte consecutive, ha giocato la finale degli US Open e che dopo questa sconfitta perse la testa della classifica ATP.

Mantenne la rotta nelle fasi più tese, amministrò i turni di battuta senza fronzoli e trovò il break che vale la storia. L’austero tabellone del Louis Armstrong Stadium raccontò il resto: titolo US Open a Mats Wilander, Ivan Lendl piegato al set decisivo. Per Lendl fu un’altra tappa in una serie mostruosa — dal 1982 al 1989 aveva centrato ogni volta la finale a New York — ma quella sera la sua continuità trovò il limite nella pazienza e nell’ordine dello svedese.

Questa partita, anche a distanza di anni, rimane una sorta di manifesto delle più lunghe finali Slam del tennis maschile. Un match nel quale si scontravano estetica e forza, resistenza e tattica, la vittoria del dominio contro il successo in quanto esercizio di sottrazione.

Alla fine il cronometro segna 4 ore e 54 minuti, un tempo che verrà uguagliato, in questo torneo, solo da un’altra sfida epica, quella giocata nel 2012 da Andy Murray e Novak Djokovic e vinta, esattamente con lo stesso tempo del match Wilander vs Lendl, 4 ore e 54 minuti, dallo scozzese, per 7-6, 7-5, 2-6, 3-6, 6-2.

La più bella di sempre, forse

Per molti la finale fra Wilander e Lendl resta ancora oggi la più intrigante, fra le finali Slam più lunghe della storia. Certo è difficile compilare una classifica, specialmente se consideriamo che uno dei match con i quali questa partita compete è la finale 2012 degli Australian Open, Djokovic contro Nadal, una battaglia tremenda da 5 ore e 53 minuti che resta, ancora oggi, la più lunga finale Slam nella storia del tennis.

Quella notte Melbourne non l’ha mai dimenticata, e forse non la dimenticherà mai. Quando Novak Djokovic chiuse l’ultimo scambio, l’orologio aveva già superato l’1.30, fissando per sempre la fine di un duello che ha ridefinito l’idea stessa di resistenza in campo.

Il copione della partita fu, com’è inevitabile in un match di questa lunghezza, molto ondivago. Nadal entra meglio in campo. Pochi errori, gioco molto pulito, vince 7-5 il primo set che dura la bellezza di 80 minuti e durante i quali, alla fine, impone il suo gioco da fondo. Djokovic però non perde la testa, trova bene la profondità sul rovescio, utilizza bene i colpi in controtempo e va avanti: vince secondo e terzo, prima 6-4, poi 6-2.

Sembra finita, ma Nadal ne ha ancora. Piove, la partita si interrompe, viene chiuso il tetto, Rafa salva tre palle break che avrebbero mandato Djokovic dritto verso la vittoria, tiene con i denti il servizio e poi vince al tie break, 7-6. Il quinto set è una Cavalleria Rusticana.

Nadal va avanti 4 a 2, il pubblico lo spinge. Djokovic però non molla, recupera il break, ritrova la concentrazione, cerca Nadal sul rovescio e alla fine la spunta. Il tabellone si ferma su 5–7, 6–4, 6–2, 6–7, 7–5 dopo 5 ore e 53 minuti, in un match che, mai come questa volta, dimostra come il tennis sia uno sport di centimetri e polmoni.

E poi c’è la più recente di tutti, la finale 2025 del Roland Garros fra Alcaraz e Sinner, 5 ore e 29 minuti, la seconda finale più lunga nella storia degli slam nell’era open. Una partita durissima soprattutto dal punto di vista mentale. Già dal primo set si avverte una grande battaglia di nervi. Da una parte l’aggressività di Alcaraz, dall’altra la continuità di Sinner.

Jannik è pulito, chirurgico, e alla fine vince 6-4. Anche nel secondo il copione sembra ripetersi, con l’azzurro che prima va avanti 3-0, poi si fa riprendere ma alla fine porta a casa, 7-6, anche il secondo set, sempre puntando sulla specialità della casa: un gioco denso, sempre in controllo, che asfissia l’avversario con la regolarità.

Il vento, però, cambia nel terzo. Il dritto di Alcaraz comincia a fare malissimo e lo spagnolo cresce anche sulla risposta. Trova il break decisivo a metà set e chiude 6-4: match riaperto. La sensazione è che l’inerzia dell’incontro si sia spostata dalla parte di Carlos, gli scambi diventano più lunghi, le variazioni costanti, Sinner soffre e prende anche il quarto, in maniera psicologicamente devastante.

Va avanti, l’italiano, 5 a 3, e sullo 0-40, mentre serve Alcaraz, manda alle ortiche tre palle del match. Da lì, Alcaraz va dritto, e prima vince il quarto al tie break, poi sembra prenda il largo al quinto ma Sinner rientra e così bisogna giocarsi un altro tie break, ed è un altro 7-6 per lo spagnolo. Un’emozione incredibile, una partita per la storia.

Mauro Mondello: redattore di sitiscommesse.com
Mauro Mondello

Le analisi sportive di Mauro Mondello sono plasmate da un’esperienza giornalistica di livello internazionale (The Guardian, La Repubblica, L’Ultimo Uomo) e dal prestigio di un passato come Yale World Fellow. Porta questa prospettiva unica nel suo ruolo di voce autorevole di Talkbet&Risposta e offre pezzi di approfondimento che coniugano dati, storie e spessore.

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