La storia di Vincenzo Sarno, pagato 120 milioni a 10 anni
Di lui si è sempre parlato, anche a livello internazionale, come del trasferimento sportivo più precoce di sempre. E forse quel clamore non gli giovò poi molto, inevitabilmente, per il suo futuro. Ecco la storia di Vincenzo Sarno.
Sarno, a Torino e ritorno
La storia inizia come tantissime altre. C’è un bambino, ha 10 anni, si diverte giocando a un pallone con i suoi amici in una scuola calcio di Secondigliano, un quartiere nella zona Nord di Napoli, e si distingue perché, rispetto ai suoi coetanei, sembra avere un talento molto più spiccato, qualcosa di unico e persino incredibile che porta addirittura qualcuno a soprannominarlo “il figlio di Maradona”.
Cercando su YouTube si trova qualche video di questo ragazzino, piccolo di statura rispetto ai pari età, che tocca il pallone con il piede sinistro come danzando, che palleggia per minuti con la testa, che supera i dribbling gli avversari e poi distribuisce il pallone con un leggero tocco di punta, nemmeno fosse un navigato fantasista.
All’epoca, nel 1999, siamo ancora lontani dall’epoca in cui tutto è registrato, visto, rivisto, catalogato, in cui ogni azione, ogni dettaglio dell’esistenza, diventano pasto pubblico per la fame mediatica della comunità. Eppure, nonostante questo, la leggenda di Vincenzino Sarno, questo il nome di quel ragazzino, comincia a superare i confini napoletani.
Di lui si accorgono le grandi squadre italiane e addirittura arrivano a vederlo degli osservatori anche dall’estero. Coventry, Empoli, Parma, Inter, Manchester United, Torino, Napoli, sono alcune delle squadre che si presentano alla famiglia per convincerla a tesserare il giovanissimo calciatore.
La scelta più logica sarebbe Napoli, ma il padre di Vincenzo si impunta. Dice che in quella squadra suo figlio non ci giocherà mai, perché si sono comportati male con il fratello maggiore, Alessandro, e non c’è nessun margine per ricucire.
Si decide, allora, di accettare la proposta del Torino, che ha offerta una cifra importante 120 milioni di lire, anche al giorno d’oggi, per una famiglia, non sarebbe certo facile dire di no a 60.000 euro. E poi c’è dell’altro. Il Torino ha proposto a tutto la famiglia di trasferirsi, e ha promesso che troverà un lavoro per il padre di Vincenzo, che è cassaintegrato e oltre al giovanissimo talento ha altri tre figli, e una moglie casalinga.
Insomma, l’accordo si fa: Vincenzo Sarno, a nemmeno 11 anni, si trasferisce a giocare nel Torino, categoria Pulcini. La stampa nazionale, con una storia così, ci va davvero a nozze. I giornali, fra l’indignato e il sensazionalistico, raccontano la storia strappalacrime del bambino prodigio che a 10 anni salva la famiglia dall’indigenza.
Vincenzino viene invitato a Porta a Porta, a i Fatti Vostri, a Domenica In, a Le Iene. Da Bruno Vespa palleggia con Roberto Mancini e Gabriel Omar Batistuta, in uno dei tanti momenti grotteschi che nel tempo la televisione pubblica italiana ci ha regalato e poi, quando il giornalista gli chiede di quale squadra, oltre al Napoli, sia tifoso, lui, cappellino del Torino in testa, risponde “Juventus”.
Nella città della Mole va a stare a casa di alcuni amici di famiglia, ma dura poco. Vincenzo è davvero troppo piccolo per un passaggio così dirompente, e addosso ha un cartellino con il prezzo che gli mette una pressione enorme.
Il posto di lavoro promesso al padre non arriva e così, nel giro di pochi mesi, fa ritorno a casa. Il problema è che a quel punto è già troppo tardi: Vincenzo Sarno, il figlio di Maradona, si porterà addosso per sempre questa storia dei 120 milioni.
Un’onesta carriera nelle categorie minori
A un certo punto sembra che il percorso calcistico di Sarno possa prendere una piega regolare. A 14 anni dalla scuola calcio del suo quartiere si sposta alle giovanili della Roma. Ci resta due anni, sembra vada tutto a gonfie vele, Bruno Conti ne parla benissimo ma ci sono dei problemi in società.
I giallorossi decidono allora di non confermarlo, provano a cederlo al Chelsea, che all’epoca ha Mourinho in panchina, ma da Londra lo rimandano indietro nel giro di poche settimane: in Inghilterra Sarno proprio non si adatta, anche (ma non solo) per problemi di lingua.
Decide di ricominciare per la terza volta una carriera che, ad appena 17 anni, sembra già lunghissima. Se ne va in C1, alla Sangiovannese, comincia bene ma poi salta la panchina, il nuovo allenatore non lo vede più e allora si sposta prima in prestito al Giulianova, poi in B al Brescia, collezionando solo pochi spezzoni di partite.
Nel 2008, a vent’anni, va in Lega Pro al Potenza, poi finalmente trova continuità, l’anno seguente, alla Pro Patria e comincia a inanellare diverse stagioni da protagonista fra Reggina, Virtus Entella e soprattutto Foggia, dove con De Zerbi in panchina trova grande continuità e segna 30 gol in 96 presenze e trascina il club pugliese in Serie B.
Va a Padova, alla Reggina, alla Triestina, dimostrandosi sempre un calciatore di grande valore tecnico, ma senza imporsi mai in maniera prorompente. Alla fine, dopo due esperienze vicino a casa, prima nella Real Casalnuovo e poi a Pompei, entrambe in Serie D, si ritira, a 35 anni.
Recentemente Sarno ha detto che non parla volentieri di quel periodo nel quale diventò famoso, ad appena 10 anni. Fa capire che quel momento lo ha segnato per sempre e, pur senza attribuire responsabilità dirette, fa trasparire di non condividere l’esposizione mediatica a cui lo sottoposero i genitori, incapaci di proteggere quello che era appena un bambino, e che fu sballottato in giro, fra televisioni e giornali, come se fosse un fenomeno da circo.