Ippica in crisi: numeri shock e futuro incerto per le corse
Un tempo fiore all’occhiello dello sport italiano, l’ippica vive oggi una crisi profonda: calo drastico delle scommesse, impianti storici chiusi e pubblico in fuga. Malgrado nuovi investimenti e timidi segnali di rilancio per il 2025, il settore appare schiacciato da problemi strutturali e incertezza sul futuro.
La grande deriva dell’ippica italiana
C’era un tempo in cui l’Italia si fermava per le gesta di cavalli come Ribot o Varenne. Le corse ippiche non erano solo uno sport, ma un fenomeno di costume, un appuntamento fisso per milioni di persone che affollavano gli ippodromi o si incollavano alla televisione. Oggi, quel mondo sembra un ricordo sbiadito.
L’ippica italiana sta vivendo una crisi strutturale profonda, una lenta deriva che la sta allontanando dal cuore del pubblico e dal centro del panorama sportivo nazionale. I dati non mentono e dipingono il quadro di un settore che lotta per la sopravvivenza.
Nonostante i tentativi di rilancio, i numeri attuali certificano una contrazione evidente. Per il 2025, il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste (Masaf) ha messo in calendario circa 1200 giornate di corse, suddivise tra 800 per il trotto e 400 per il galoppo. Sebbene sia stato previsto un timido incremento del montepremi del 2%, il numero complessivo di convegni è in riduzione rispetto agli anni passati.
Questo dato è la spia di un problema più grande: la perdita di visibilità e popolarità. L’epoca d’oro, in cui le corse erano eventi di risonanza nazionale con una copertura mediatica capillare, è finita. Oggi, la presenza del pubblico negli ippodromi è drasticamente calata, limitata per lo più a una nicchia di appassionati storici e addetti ai lavori. La televisione generalista ha abbandonato da tempo le dirette, relegando l’ippica a canali tematici con un’audience marginale. Il risultato è un circolo vizioso: meno visibilità significa meno sponsor, meno interesse del pubblico generalista e, di conseguenza, meno scommesse.
Il crollo della raccolta: quando scommettere non è più un gioco
Il vero termometro della salute dell’ippica è da sempre il volume delle scommesse, e qui i dati sono impietosi. Negli ultimi dieci anni, la raccolta ha subito un’emorragia costante. Se nel 2023 il totale si era attestato a 668,39 milioni di euro, il 2024 ha segnato un’ulteriore flessione, chiudendo a 649 milioni di euro.
Questi numeri sono lontanissimi dai fasti degli anni ’80 e ’90, quando il settore superava agevolmente il miliardo di euro annuo di raccolta. La crisi colpisce soprattutto il gioco tradizionale, quello al totalizzatore, mentre si registra una lieve tenuta delle scommesse a quota fissa, spesso trainate dal gioco online.
La recente approvazione di un prelievo fiscale ridotto sulle scommesse è una boccata d’ossigeno, un tentativo di rendere il prodotto più competitivo, ma difficilmente basterà a invertire una tendenza che appare strutturale. La concorrenza di altre forme di gioco, più moderne e immediate, ha eroso progressivamente la base di scommettitori dell’ippica.
Mappa degli ippodromi: tra chi resiste e chi ha gettato la spugna
La crisi si manifesta anche fisicamente, nella geografia degli impianti. Alcuni ippodromi storici resistono e continuano a essere il cuore pulsante del settore. Tra questi spiccano:
- Capannelle (Roma) e San Siro (Milano), che ospitano ancora i gran premi più prestigiosi.
- Agnano (Napoli) e Vinovo (Torino), punti di riferimento per il trotto.
- Sassari (Pinna), che ha inaugurato la stagione 2025 con un segnale di vitalità, presentando ben 70 cavalli partenti nella giornata di apertura.
Accanto a questi baluardi, però, si allunga l’ombra degli ippodromi chiusi o in grave difficoltà, diventati cattedrali nel deserto di un’epoca passata. Strutture storiche come l’Ippodromo di Montecatini o quello di Livorno hanno cessato l’attività. L’Ippodromo della Favorita di Palermo ha vissuto anni travagliati, tra chiusure e riaperture precarie. Molti altri impianti minori, un tempo centri di aggregazione per le comunità locali, sono oggi abbandonati, simbolo tangibile del declino.
Conclusioni: quale futuro per l’ippica?
L’ippica italiana è a un bivio. La progressiva perdita di pubblico, il calo verticale delle scommesse e la chiusura di impianti storici sono sintomi di una malattia profonda. Le misure tampone, come lievi aumenti del montepremi o aggiustamenti fiscali, non sono sufficienti a curare un settore che ha perso il suo appeal generazionale.
Il futuro dipenderà da una rottura netta con il passato e dalla capacità di innovare. Servono nuove strategie di comunicazione per raggiungere un pubblico più giovane, un prodotto di scommesse più moderno e trasparente, e una valorizzazione degli ippodromi non solo come luoghi di corse, ma come centri di intrattenimento polifunzionali. Senza una visione coraggiosa e un piano di rilancio a lungo termine, il rischio concreto è che il suono degli zoccoli in dirittura d’arrivo diventi solo un’eco lontana, il ricordo di uno sport che l’Italia ha amato e poi, lentamente, dimenticato.