Gli effetti del Decreto Crescita sul calcio: analisi approfondita della norma

I benefici fiscali previsti dalla norma, modificata nel 2019, permettono di risparmiare fino al 50% in termini fiscali. Si parla molto di questa misura, ma se ne sa ancora molto poco. Proviamo a capire come funziona.

Che cos’è e come viene utilizzato il Decreto Crescita

L’ormai famoso Decreto Crescita viene approvato dal governo italiano nel gennaio del 2017, all’interno della legge 24bis, che regola il Testo Unico delle Imposte sui Redditi. Si tratta di una normativa che garantisce un vantaggio fiscale a chi decide di spostare la propria residenza dall’estero nel nostro paese.

La norma vale anche per gli italiani che abbiano passato nove anni degli ultimi dieci fuori dall’Italia e prevedere un’aliquota fissa di 100.000 euro su qualsiasi patrimonio e ricavo che si maturi da investimenti esteri per i primi quindici anni dopo essere rientrati. Inoltre, nel 2019, è stata aggiunta al Decreto una sorta di postilla, che allarga la possibilità di usufruire dei vantaggi anche a stranieri e italiani che abbiano risieduto all’estero per un periodo minimo di due anni.

Palazzo Chigi, bandiera italiana

Gli effetti del Decreto Crescita

L’aggiornamento del Decreto di tre anni fa permette a chi sposta la residenza in un comune qualsiasi a Nord della città di Roma di usufruire del 70% di taglio rispetto alla sua base imponibile di reddito. Una quota che aumenta al 90% se la residenza viene invece fissata a Sud di Roma, un incentivo previsto nelle sequenza di iniziative pensate per aiutare lo sviluppo economico del Mezzogiorno.

La legge, per evitare esagerazioni, è stata leggermente modificata per trovare una quadratura del cerchio accettabile all’interno del sistema calcio italiano. Per questo, i calciatori in arrivo dall’estero e che spostano la residenza in Italia possono contare su una valutazione del solo 50% del loro imponibile. Nei conteggi Irpef sono del 50%, più uno 0,5% che viene lasciato come tassa aggiuntiva per lo sviluppo del calcio giovanile in Italia.

Per dirla in parole povere, i calciatori che vengono acquistati da club italiani e che non sono residenti in Italia da almeno due anni pagano le tasse soltanto sulla metà del loro salario. Il risultato è che i club pagano meno tasse, ottenendo un risparmio non indifferente sulle buste paga al lordo, mentre i giocatori possono contare su uno stipendio netto decisamente più alto.

Cosa ha prodotto questa normativa

È evidente che i governi guidati da Gentiloni prima, nel 2017, e da Giuseppe Conte poi, nel 2019, non avevano certo intenzione di promulgare una norma che favorisse i calciatori, ma avevano invece immaginato il provvedimento come stimolo per consentire l’arrivo nel paese di eccellenze professionali, così come stimolare il cosiddetto rientro dei cervelli.

Il risultato, però, è che un calciatore che guadagna, ad esempio, 10 milioni l’anno, senza l’incentivo costerebbe invece al club che lo ha messo sotto contratto ben 15 milioni: non si tratta di una differenza di poco conto. Purtroppo, peraltro, i dati raccontano come la misura non abbia contribuito particolarmente a abbassare gli ingaggi. La competitività fra squadre per accaparrarsi i migliori calciatori ha forse, addirittura, avuto un ruolo nell’alzare i prezzi, creando peraltro un corto circuito davvero complesso.

L’effetto più fastidioso è infatti che spesso le società hanno più convenienza nel rivolgersi al mercato estero, più economico grazie a questi vantaggi fiscali, piuttosto che nell’ingaggiare giocatori già residenti in Italia. Il rischio, così, è che i calciatori italiani di maggiore valore finiscano tutti all’estero, così come si riduce in maniera sostanziale la possibilità di vedere grandi calciatori passare da un club italiano all’altro.

Un esempio su tutti che si presta molto bene a capire come il player trading fra società italiane di grandi calciatori si sia molto trasformato è quello di Sergei Milinkovic-Savic. Arrivato alla Lazio nell’estate del 2015, il centrocampista serbo è stato ceduto da Lotito, lo scorso agosto, ai sauditi dell’Al Hilal, con il cartellino pagato circa 40 milioni di euro dagli arabi. Per anni si è parlato di un suo passaggio alla Juventus, al Milan, all’Inter, tutte squadre che, anche a causa del Decreto Crescita, si sono poi orientate su profili stranieri, come Weah, Reijnders, Klaassen.

È anche questa la ragione per la quale le trattative per i calciatori italiani di maggiore prospettiva sono sempre molto più complesse. Scamacca, Frattesi, Raspadori, giovani di talento tutti ceduti dal Sassuolo, sono stati al centro di lunghe e accese affabulazioni di mercato, prima di passare alle loro nuove squadre. Si tratta di una dimensione legata evidentemente a differenze di calcolo inevitabili che le società si trovano a fare quando decidono di acquistare un calciatore italiano. Per questo, forse, il governo e la Federcalcio dovrebbero immaginare una nuova soluzione.

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